_ PAOLO E CORPUS PAOLINUM NELLE OPERE
MONASTICHE DI GIOVANNI CASSIANO
Già Prospero d'Aquitania, nonostante che polemizzasse con Cassiano, apprezzava la sua conoscenza delle Sacre Scritture dicendo: "quem non debitum est illis omnibus in sanctarum scripturarum studio preaestare"[1]. Anche gli studiosi moderni accentuano questo fatto. E così, per esempio, M.Olphe-Galliard scrive: "La doctrine de Cassien est d'essence biblique"[2]. E. Pichery invece rileva che: "La source - di Cassiano - par excellence est la sainte Ecriture"[3]. Ma fino ai nostri giorni non esiste sul campo dell'esegesi di Cassiano uno studio più ampio e profondo così che A. de Vogüé ha definito questa dimensione degli studi sull’opera di Cassiano "un domaine encore inexploré"[4]. Alcuni autori, i quali si occupano generalmente della storia dell'esegesi cristiana come per esempio H. de Lubac o M. Simonetti, rilevano questo tema, ma soltanto dal punto di vista dei così detti quattro sensi della Scrittura i quali sono stati così presentati ed elencati per la prima volta in un modo così esplicito proprio da Cassiano[5].
L'unico studio, chiamato dallo studioso francese come "première reconnaissance du terrain"[6], è stato scritto negli anni settanta da Ansgar Kristensen e pubblicato soltanto nella sua forma abbreviata[7]. L'autore, basandosi sugli indici della Scrittura che si trovano nell'edizione Sources Chrétiennes delle opere di Cassiano, ha fatto alcune osservazioni generali, e direi, statistiche riguardo al modo in cui Cassiano usava la Scrittura. A. Kristensen ha diviso gli scritti monastici in sei parti notando in ciascuna la frequenza delle citazioni tratte dai libri della Scrittura. E così è riuscito a dimostrare che le parti che parlavano maggiormente della vita cenobitica usavano citazioni tratte dal vangelo di Matteo e in queste parti il metodo interpretativo usato da Cassiano era prevalentemente letterale. Invece nelle parti che si riferiscono di più alla vita eremitica Cassiano usava maggiormente il libro dei Proverbi o i Salmi applicando il metodo più allegorico[8]. Alle lacune di questo studio, già sottolineate da A. de Vogüé nel suo articolo appena citato, questo lavoro vuole aggiungerne anche un'altra: l'assoluta mancanza d’osservazioni sull'importanza che Cassiano pone nelle sue opere riguardo a S. Paolo e alle sue lettere.
A quest’opinione ci spinge non soltanto una semplice osservazione dell'uso assai frequente dell'epistolario dell'Apostolo, ma anche la constatazione che Paolo ha influito sul pensiero di Cassiano anche a livello qualitativo inspirando i più importanti temi della sua teologia della vita monastica e anche una riflessione sul contesto storico e teologico nel quale viveva Cassiano. Si pensi soprattutto al così detto paolinismo del IV e V secolo che influiva anche sui movimenti ascetici e monastici dell'epoca[9]. Il tema fino ad oggi non è stato direttamente approfondito né riguardo a Cassiano né riguardo ad altri autori del monachesimo antico. In questo articolo si cercherà di fare alcune osservazioni sul modo di usare la Bibbia (soprattutto il corpus paulinum da parte di Cassiano); in secondo luogo si analizzerà l'immagine dell'Apostolo Paolo così come si presenta negli scritti di questo monaco. Si spera che in questo modo si farà il primo avvicinamento all’esegesi e al paolinismo di Cassiano
Dall’inizio si deve anche sottolineare che la vita di Giovanni Cassiano si colloca negli ambienti in cui contemporaneamente si studiava e commentava il pensiero dell'Apostolo Paolo[10]. In Egitto Cassiano ha incontrato una forte tradizione origenista con i suoi interessi esegetici non escludendo il corpus paulinum[11], a Costantinopoli Giovanni Crisostomo[12], a Roma il patrimonio di Mario Vittorino, l'Ambrosiaster, Girolamo, Pelagio, Agostino[13], a Marsiglia entra nella discussione pelagiana la quale spesso si riferiva al corpus paulinum[14]. Questo non significa che automaticamente potrebbe esistere una forte e diretta dipendenza letterale fra questi ambienti o correnti teologiche e le opere di Cassiano, ma si può almeno accentuare il fatto che occorrerebbe riflettere sull'influsso che l'epistolario paolino ha avuto sulla teologia della vita monastica di questo Padre.
1. Corpus paolinum nelle opere monastiche di Cassiano
Corpus paulinum e gli atri libri della scrittura
Se si controllano nell'indice pubblicato da Sources Chrétiennes 64 e 109 le citazioni e i riferimenti allusivi al testo biblico nelle opere di Cassiano, si osserva che ve ne sono più di 2000. Sulla base di quest’indice vogliamo aggiungere alcune osservazioni.
I Libri più usati tratti dall'Antico Testamento sono: i Salmi, Isaia, Geremia, Proverbi e Genesi. Vi manca invece totalmente qualsiasi riferimento ai Libri di Rut, 1 Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta e Abdia. D’altronde 2 Cronache, Ester, Sapienza, Lamentazioni, Baruc, Osea, Michea, Sofonia, Aggeo e Zaccaria sono citati soltanto nelle Conferenze e appena (ad eccezione d’Osea) qualche volta.
Dal Nuovo Testamento, oltre alle lettere di San Paolo, Cassiano usa più frequentemente il Vangelo di Matteo, Luca e Giovanni; a Marco si riferisce raramente. Non sono assolutamente presenti i riferimenti alle lettere di Paolo a Tito e a Filemone, alla seconda e terza lettera di Giovanni Apostolo. La lettera di Giuda è citata soltanto una volta nelle Conferenze.
A questo punto, dopo questa visione panoramica, se ci si ferma con attenzione sulle lettere di San Paolo, si trovano dati molto interessanti. I riferimenti paolini, infatti, occupano circa il 25% di tutte le citazioni! Questo significa che in media ogni quattro riferimenti alla Scrittura almeno uno proviene dall'Apostolo e si potrebbero trovare in ogni pagina degli scritti monastici di Cassiano, o al massimo ogni due. Il numero cresce ancora maggiormente quando si aggiunge la lettera agli Ebrei che secondo l'Autore è di Paolo[15] e le citazioni tratte dagli Atti nei quali si trovano le informazioni sulla vita e gli insegnamenti dell'Apostolo delle genti[16].
Lo stesso termine tecnico corpus paulinum non si trova nel vocabolario di Cassiano, mentre invece è adoperata questa parte della Scrittura quando usa termini come "litterae"[17] o più spesso semplicemente: "apostolus dicit"[18], "apostolus monet"[19], "apostolus dixisset"[20], etc. Raramente usa la parola "epistula" riguardo agli scritti di Paolo e fa questo quando distingue in maniera più precisa una concreta lettera[21]. La più usata è la 1 lettera ai Corinzi (circa 112 volte), dopo viene quella ai Romani (circa 109 volte), 2 Corinzi (61 volte), ai Galati (42 volte) e agli Efesini (41 volte), poi 1 Timoteo (37 volte), ai Filippesi (36 volte), agli Ebrei (31 volte), 2 Tessalonicesi (24 volte), 1 Tessalonicesi (23 volte), 2 Timoteo (17 volte) ed alla fine al dodicesimo posto la lettera ai Colossesi (15 volte). Com’è già stato detto, Giovanni Cassiano aggiunge alle lettere di Paolo anche l'epistola agli Ebrei (è citata circa 31 volte) e non si riferisce mai a quella a Tito e a Filemone.
A questo punto facciamo osservazioni su alcune frasi di San Paolo che sono più usate. E così c’imbattiamo soprattutto nel famoso frammento dalla lettera agli Efesini 6,12 che parla della battaglia spirituale (9 volte). Lo seguono: Col 3,5 che parla della necessità della mortificazione della fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi, avarizia, etc., (8 volte); 1 Ts 5,17 che porta con sé il comandamento dell'Apostolo pregate incessantemente (anche 8 volte); e 2 Tm 2,5 che afferma che nelle gare atletiche non si riceve la corona, se la lotta non si è svolta secondo le regole (anche 8 volte). Dopo si può anche elencare 1 Cor 10,13 (7 volte) e 1 Cor 13,8 (7 volte), 1 Cor 15,28 (6 volte), Gal 5,17 (5 volte), 2 Ts 3,8 (5 volte) e 1 Tm 6,10 (5 volte).
Si possono elencare almeno quattro modi di usare i testi dell'Apostolo: un certo tipo di commenti[22], le citazioni che sostengono un insegnamento di Cassiano[23], i brani che si trovano accanto ad altre citazioni dalla Scrittura[24], in particolare le raccolte delle citazioni paoline[25], e le semplici allusioni, non sempre chiare, alle lettere di Paolo[26].
Si potrebbe anche fare uno studio più ampio sul fatto che Paolo, fra gli altri libri scritturistici, occupa in Cassiano il posto centrale e crea una base esegetica, che di seguito dà vita alla sua cristologia, all'ecclesiologia, all'antropologia, all'escatologia, alla demonologia, alla soteriologia con i problemi del peccato e del libero arbitrio dell'uomo, etc. Ma questi sono temi teologici nei quali la presenza e l'influsso dell'insegnamento paolino è ovvio come per ogni teologia e nelle opere di Cassiano si trova anche a causa delle fonti alle quali egli stesso attinse[27]. La problematica sembra interessante, e sicuramente si potrebbero trovare gli sviluppi dei temi e delle sfumature sottili che potrebbero dare una luce interessante alla problematica stessa. Ma sembra che ancora più interessante ed importante è l’influsso dei testi paolini sui temi della teologia della vita monastica.
Il testo del corpus paulinum
Come nei casi precedenti, si nota la mancanza di uno studio diretto e approfondito sulle versioni del testo biblico che Cassiano possedeva[28]. Eventualmente si parte dal fatto che Cassiano conosceva il greco e il latino[29] e così poteva usare anche la versione greca alla quale si riferisce parecchie volte riguardo ambedue i Testamenti[30]. Lui apprezza la traduzione di Girolamo chiamandola: "emendatior translatio"[31] o "exemplaria quae hebraicam exprimunt ueritatem"[32]. Ma talvolta mostra che conosce e anche si riferisce a versioni diverse: "diversa exemplaria"[33] e più antiche: "novella exemplaria multa et antiqua omnia"[34].
Sembra che Giovanni Cassiano conosce bene ed è cosciente anche dell'importanza del problema testuale della Bibbia per la vita ascetica[35]. Ma ci vorrebbe uno studio lungo e speciale per precisare di più a quale versione della Septuaginta e del Nuovo Testamento greco si riferiva, o definire la famiglia della Vetus Latina conosciuta ed usata da Cassiano[36]. Il presente articolo non tenta di risolvere la questione, ma fermandosi sul corpus paulinum fa qualche osservazione che da una parte mostra la complessità del problema e dall'altra almeno indica alcune soluzioni riguardo al problema.
Cassiano usa cinque volte la parola "exemplaria"[37] parlando delle versioni della Scrittura fra le quale soltanto una volta è toccato il corpus paulinum[38]. In questo brano si riferisce a 1 Tm 6, 8 e con una certa disapprovazione parla dei "quibusdam latinis exemplaribus" i quali usano la parola "vestimenta" invece di "operimenta" che è posta da lui. A quale testo si riferisce, e quale prende come corretto, e perché lo fa?
Cassiano aveva in questo momento davanti agli occhi la traduzione latina delle Regole di Basilio fatta da Rufino[39]. Il testo dalla 1 Tm 6,8 proposto là da Rufino dice: "Habentes autem victum et vestitum, his contenti simus"[40]. Il testo di Cassiano dice: "Habentes alimenta et operimenta, his contenti simus".
Non si riferisce però in questo caso alla traduzione di Girolamo la quale non parla né di "vestimenta" né di "operimenta" ma traduce il brano con "quibus tegamur". Cassiano proprio dal testo greco ha tradotto "skepasmata" con "operimenta". La traduzione, anche se non tanto lontana dal greco e dagli altri due testi latini, era propria di Cassiano e - si potrebbe dire - tendenziosa, poiché meglio in questo momento serviva alle sue idee. Dall'altra parte, si può notare che il brano dalla 1 Tm 6, 8, citato ancora due volte[41], corrispondeva proprio al testo preso da Rufino! Cassiano dunque non sempre era tanto esigente e stretto riguardo al testo biblico.
Lo stesso atteggiamento si può osservare riguardo alle altre citazioni. Prenderemo com’esempio la lettera ai Colossesi. Giovanni Cassiano la cita almeno 16 volte usando 10 versetti (Col 1,16; 2,3.14.15.21: 3.3.5.8.9.10). Col 3,5 è citato 8 volte! Le sei citazioni dalla lettera (tranne il versetto 3,5) sono concordi con la versione della traduzione di Girolamo (Col 2,3[42]; 2,14-15[43]; 2,21[44]; 3,3[45]; 3,8[46]; 3,9[47]). Il versetto 1, 16 è diverso sia dal testo di Girolamo sia anche dalla versione greca poiché aggiunge "sive angeli sive archangeli" i quali provengono dalla lettera ai Romani 8, 38 (Cassiano probabilmente semplicemente citava a memoria)[48]. Si nota anche la differenza fra il testo della Volgata nel caso di Col 3,10[49].
Ma la confusione cresce ancora di più quando si considera il brano Col 3, 5 che è citato, come abbiamo già detto, otto volte. Il medesimo versetto è per quattro volte citato in modo simile alla traduzione della Volgata[50]. Due volte si trova con piccoli cambiamenti: una volta manca la parola "ergo"[51], un'altra invece, è stata aggiunta al suo posto la parola scilicet[52], ma sono cambiamenti piccoli, e direi, retorici in un certo senso o senza un’importanza. Ma due volte Cassiano mescola probabilmente Col 3,5 con 1 Tm 6,10. In un certo qual modo prende Col 3,5, ma si riferisce al termine greco "filargyria" traducendolo o con "avaritiam"[53] o semplicemente facendo la traslitterazione da "filagaryia"[54]. Ma la difficoltà sta nel fatto che questo termine non esiste nel testo originale, come noi oggi lo conosciamo, che ha il termine "pleoneksia" il quale nella Volgata è stato tradotto con "cupiditas". Cassiano invece quando usa questo versetto, lo mescola con la prima lettera a Timoteo e lo usa in latino nella forma traslitterata[55] o eventualmente traducendolo con "avaritia"[56] ed "amor pecuniae"[57].
Come conclusione si potrebbe dire che il corpus paulinum nelle opere monastiche di Cassiano è usato in maniera varia L'Autore conosce e si riferisce al testo greco quando questo è necessario per rafforzare le sue convinzioni - soprattutto quando tratta dei problemi ascetici. Riguardo al testo latino si può dire che usa maggiormente la Volgata, ma si osserva anche che adopera in modo non-critico altre traduzioni, incluse fonti patristiche. Non si può escludere anche che Cassiano spesso citasse a memoria non curandosi della forma e della traduzione. Non si può escludere anche il fatto delle interpolazioni degli scrittori medievali, i quali riscrivevano il testo oggi da noi usato[58]. Tutto questo è caratteristico dell'epoca in cui erano ancora diffuse e mescolate varie versioni della Scrittura e ancora tanti potevano facilmente usare sia il testo latino sia il testo greco.
Un lavoro da fare nel futuro sarebbe quello di stabilire almeno la famiglia alla quale apparteneva eventualmente una delle versioni della Vetus Latina posseduta da Cassiano. Però il tema non sembra tanto importante o necessario per un autore ascetico e dall'altra parte esso sarebbe molto laborioso. Secondo la nostra opinione Cassiano poteva possedere una versione dalla famiglia italiana[59].
2. L’immagine di Paolo secondo Cassiano.
Cassiano, siccome non voleva scrivere la storia dei monaci[60], non aveva l'intenzione di includere nelle sue opere una biografia di San Paolo. Lo scopo delle sue opere monastiche presentata direttamente in questo modo:
"Perciò non mi sono proposto di parlare delle meraviglie di Dio, quanto piuttosto di trattare brevemente delle correzione dei nostri costumi e del modo di raggiungere la perfezione della vita"[61].
E se queste parole si riferiscono alla vita dei monaci, si possono anche riferire a Paolo. Malgrado ciò si nota qualche frase nella quale si comprende una certa immagine dell'Apostolo che Cassiano o aveva o almeno voleva presentare. La ricostruzione è interessante perché ci fornisce la prospettiva nella quale l'Autore prendeva anche le lettere dell'Apostolo e fa parte dell’insieme di capire la sua esegesi.
I nomi dell’Apostolo
Cassiano, quando parla di Paolo o quando cita i brani dalle sue lettere o dagli Atti, più frequentemente usa la parola "Paulus"[62] o "apostolus"[63]. Talvolta troviamo anche l'espressione "Paulus apostolus"[64]. E' ovvio che l'uso dei termini proviene dal testo scritturistico[65].
Anche molto spesso si può trovare la formula "beatus apostolus"[66], "sanctus apostolus"[67] o "beatus apostolus Paulus"[68]. Però non vi sono i nomi caratteristici di Paolo. Cassiano mette anche davanti all'aggettivo "beatus" altri nomi che provengono o dalla Scrittura (Abraham[69], David[70], Job[71], etc) o dal mondo monastico (Abraham (abba)[72], Antonio[73], Pafnutius[74], Paulus (monaco)[75], etc). Una situazione somigliante è con la parola "sanctus"[76]. Questi aggettivi provengono anche dal NT dove i cristiani sono chiamati "santi"[77]. Una evoluzione si può osservare riguardo alla parola "beatus". La Bibbia non usa il termine spesso, né riguardo agli Apostoli né riguardo ai primi discepoli[78], neanche san Paolo nelle sue opere (soltanto quando si riferisce a Cristo[79]). Nell'epoca di Cassiano - come vediamo - la parola è abbastanza frequente[80].
Fra i nomi più caratteristici riguardo all'Apostolo troviamo la formula "doctor" o "doctor gentium". Cassiano usa la parola "doctor" (anche d’origine biblica[81]) nel caso di san Paolo per rilevare il carattere docente dell'Apostolo[82], mettendola insieme con una dimensione medica[83]. Si deve però sottolineare che troviamo soltanto la frase "doctor gentium"[84] quattro volte e riferita unicamente a san Paolo. Questo è anche una pura trasposizione dalle lettere dell'Apostolo[85]. Paolo è chiamato da Cassiano anche: "magister"[86], "magister bonus"[87] e "praedicator euangelii"[88].
Dagli Atti 9, 15 proviene il nome "uas electionis"[89]. Però questo brano scritturistico non si trova in nessun posto in modo pieno ed esplicito nelle opere di Cassiano. Ed egli stesso usa soltanto l'espressione "uas electionis", e lo fa volentieri[90].
Troviamo una situazione simile nel caso delle definizioni "Paulus est architectus"[91] e "Paulus architectus sapiens"[92]. Cassiano fa riferimento al testo di 1 Cor 3, 10 nel quale l'Apostolo chiama se stesso (secondo testo della Volgata) "sapiens architectus".
Cassiano anche dice che Paolo è "athleta Christi"[93]. Il termine è usato spesso riguardo ai monaci, ma soltanto una volta riguardo a san Paolo. Interessante è notare che il nome così popolare e diffuso nel vocabolario monastico e ascetico non si trova nel testo latino delle lettere dell’Apostolo neanche indirettamente. Nella Volgata la parola paolina "athlesis" (2 Tm 2,5) è stata tradotta come "certat" ed "athle" come "certaverit" (ibid). Ma qui notiamo che Cassiano, partendo da questi termini greci, ha creato il nome caratteristico di san Paolo chiamandolo "athleta christi".
Alla fine osserviamo ancora un altro nome con il quale Cassiano chiama san Paolo. Si tratta dell'espressione: "ambidexter doctor gentium"[94]. Qui la parola "ambidexter" (come nel caso dell'"athleta") non serve per precisare o definire la persona dell'Apostolo ma piuttosto è usata dal nostro Autore come un esempio fra gli altri (per esempio Giuseppe) che serve per confermare i suoi interessi ascetici.
Concludendo queste osservazioni si può dire che Cassiano riguardo alla persona di san Paolo usa soprattutto termini che nella loro maggioranza provengono dal vocabolario biblico. Talvolta li usa per cortesia a causa di forme retoriche (specialmente "beatus", "sanctus", "uas electionis") e quest’uso è ovviamente più frequente. Con altri titoli come "doctor" o "doctor gentium" e "magister" o "magister gentium", Cassiano vuole sottolineare il ruolo di maestro dell'Apostolo. Questi nomi si trovano soprattutto nei brani delle opere di Cassiano in cui egli analizza o presenta l'insegnamento dell'Apostolo. In questo gruppo si colloca anche il nome "architectus" o "sapiens architectus". Invece le parole "athleta" e "ambidexter" sottolineano la dimensione ascetica dell'insegnamento e della vita di Paolo. Si possono osservare, dunque, i due modi dell'uso di tutti questi nomi: essi o definiscono più precisamente la persona e l'insegnamento dell'Apostolo o, al contrario, il suo nome sta soltanto per confermare l'insegnamento e le teorie di Cassiano. La pluralità e la ricchezza dei nomi mostra l'importanza dell'Apostolo e del suo insegnamento per Cassiano.
Il ritratto esteriore
Un lettore attento trova che Paolo fu chiamato per diventare Apostolo e per perfezionare la propria vita a causa di Cristo stesso[95] o - come Cassiano dice altrove - per la grazia di Dio[96]. Durante questo processo è diventato cieco[97], ed è andato da Anania a Damasco[98]. Però Cassiano non sviluppa una teologia della vocazione o della conversione a partire dall'esempio dell'Apostolo. Al contrario, si può osservare che contrappone proprio la vocazione estorta e non voluta da Paolo[99] alla sua degna e generosa risposta[100].
Seguendo ancora la vita dell'Apostolo, si deve notare che Cassiano qualche volta ritorna sull'avvenimento della visita di Paolo a Gerusalemme per verificare la sua vocazione di fronte agli altri Apostoli[101]. L'evento serve all'Autore per sottolineare la dimensione ecclesiale della vocazione o di qualsiasi ispirazione interiore. Gli altri viaggi dell’Apostolo sono menzionati soltanto marginalmente accanto ad altre spiegazioni. E così il lettore può sapere che Paolo era a Tessalonica dove lavorava con Silvano e Timoteo[102], ed a Corinto con Priscilla e Aquila[103]. Due volte ritorna il tema dell'incontro con gli Efesini a Mileto[104]. Si sa che l'Apostolo delle nazioni predicava il Vangelo ai pagani[105] ed era ad Atene dove parlava con i Greci sui loro poeti[106], scriveva le lettere e si preoccupava della raccolta dei soldi per la chiesa di Gerusalemme[107]. L'ultimo fatto che viene segnalato da parte di Cassiano nelle sue opere monastiche è il viaggio di Paolo alla capitale dei Giudei dove fu messo in prigione[108]. A tutto questo si possono aggiungere dettagli poco importanti di cui talvolta Cassiano si serviva come, per esempio, il fatto che Paolo portava una cintura[109], si tagliava i capelli[110] ed aveva cittadinanza romana[111]. Prendendo la problematica dal punto di vista storico, si deve dire che tutto questo non è tanto, e si deve aggiungere che il tema che ritorna maggiormente, e che è stato sviluppato di più, è il tema del lavoro nella vita di Paolo[112].
Il ritratto interiore
Oltre ad un interesse storicistico di Cassiano viene sviluppato un interesse più profondo sulla persona di san Paolo il quale anche può spiegare l'interesse che le lettere dell'Apostolo avevano o per Cassiano o in genere per il monachesimo di quest'epoca.
Si osserva dunque in Cassiano - non escludendo anche una enfasi retorica - una certa glorificazione degli Apostoli e di Paolo in particolare. Grazie alla sua vita egli si mostra come un esempio per gli altri[113]. Importante diventa non soltanto il suo insegnamento letterario ma soprattutto l'esempio offerto a tutti[114] che vale la pena di imitare[115].
E così a causa della loro elezione, gli Apostoli superavano tutto il genere umano: "Apostoli (...) superavano di gran lunga la bontà degli uomini, per il dono della loro elezione"[116]. Erano specialmente dotati dalla natura e dalla grazia[117]. Parlando in particolare di Paolo, Cassiano dice anche, che fu arricchito in modo eccezionale dal Signore stesso[118] e a causa di questo, tutta la sua persona n’era irraggiata[119]. In tutto il sistema teologico di Cassiano, Paolo appariva com’esempio dell'uomo che non può cadere in peccato grave[120].
Però l'Autore delle Conferenze sottolinea soprattutto la dimensione della perfezione o la straordinaria virtuosità di Paolo[121]. Egli possedeva, dunque, perfettamente tutte le virtù e così poteva insegnare agli altri non soltanto con le sue parole ma con il suo atteggiamento[122]. Paolo con la sua premura e con il suo fervore superava tutti i santi[123]. La stessa cosa si può dire delle sue sofferenze[124]. Si può dunque affermare che, da un certo punto di vista, Paolo appare come un esempio eccezionale nel pensiero di Cassiano, ma soprattutto a livello ascetico. Questa dimensione tocca vari aspetti della vita perfetta.
Paolo dunque, come un vero "athleta Christi", ha lasciato il mondo[125], ha vinto e raggiunto il dominio del suo corpo e così è in grado di combattere contro le potenze più forti[126]. Lui sopportava fatiche, pene, persecuzioni[127] e tentazioni[128]. Era povero, nudo, aveva fame e sete[129]. Cassiano dice una volta che soffriva più di tutti gli altri santi[130]. D'altra parte, l'Apostolo delle nazioni era pieno di sollecitudine verso gli altri ed era esempio d’amore fraterno[131], era umile[132] e si adattava ad ogni situazione[133], era un modello per i superiori[134] ed un mistico eccellente così che la sua esperienza poteva diventare un typos per gli altri[135]. Ma soprattutto, come abbiamo già detto, Paolo era un esempio nel lavoro[136]. Questa dimensione della sua esistenza nella descrizione di Cassiano è tanto sviluppata che il lettore può avere impressione che Paolo non faceva nient' altro che lavorare.
Accanto a quest'immagine ne viene un'altra nella quale Paolo non è così perfetto perché non possedeva una contemplazione piena e incessante di Dio a causa della sua sollecitudine per gli altri[137], e nonostante la sua eccellenza era anche sottomesso ai problemi, alle preoccupazioni e alle difficoltà della vita quotidiana[138]. Anch'egli sperimentava in se stesso - e così ci trasmette la sua testimonianza - la miseria della condizione umana e la sua mortalità, ma nel confronto con l'amore di Cristo e nell'annuncio evangelico nasceva nel suo cuore la speranza[139]. In lui era così presente la tensione fra il peccato e la grazia[140] che l'angoscia del peccato lo toccava, ma non predestinava alla condanna[141].
Concludendo questa breve presentazione dell'immagine di Paolo che appare nella prospettiva delle opere di Cassiano dedicate ai monaci, si può fare qualche osservazione. Paolo è dunque considerato da una parte come un'autorità dottrinale, dall'altra come un esempio o come un modello eccellente della sua vita. Nella prospettiva di Cassiano, questa seconda dimensione sembra essere più importante. Si nota anche che Paolo da una parte è glorificato, come un modello irraggiungibile, dall'altra parte è molto reale e vicino. La sua ampia attività ed esperienza offrivano ad uno scrittore come Cassiano la possibilità di scegliere e sviluppare i vari aspetti della vita di Paolo secondo l'intenzione e la necessità. Cassiano fa un salto, una monachenizzazione o ascetizzazione dell'Apostolo così che sviluppa poco alcuni elementi della sua vita, mentre sviluppa in maniera sproporzionata gli altri.
1992
1]PROSPERO D'AQUITANIA, Pro Augustino responsiones. De gratia Dei et libero voluntatis arbitrio contra collatorem, II, PL 45, 1803.
[2] M. OLPHE-GALLIARD, "Cassien", in DSp, II, c. 223.
[3] M. PICHERY, Introduction aux Conférences, SCh 42, Paris 1955, p. 63.
[4]A. DE VOGÜE, la recensione dell'articolo di A. KRISTENSEN, "Cassian's Use of Scripture" dal ABR, 28 (1977) p. 276-288, in CCist., 2 (1978) p. 313-315).
[5] Cf. H. DE LUBAC, Esegesi Medievale. I quattro sensi della Scrittura, parte prima, volume primo, trad. it. di G. Auletta, Milano 1986, p. 198-209; M. SIMONETTI, Lettera e/o Allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985, p. 358-359.
[6] A. DE VOGÜE, op. cit., p. (315).
[7] A. KRISTENSEN, "Cassian's Use of Scripture", in ABR, 28 (1977) p. 276-288.
[8] Cf. A. KRISTENSEN, op. cit., p. 283-285.
[9] Cf. M.G. MARA, "Commenti all'epistolario paolino", in DPAC, c. 2620-2624; - "Richerche storico-esegetiche sulla presenza del corpus paolino nella storia del cristianesimo dal II al V secolo", in Paolo di Tarso e il suo epistolario. Richerche storico-esegetiche, L'Aquila 1983, p. 6-64.
[10] Cf. M.G. MARA, Paolo di Tarso e il suo epistolario. Ricerche storico-esegetiche, Roma 1983.
[11]ibid., p. 17 e 24-26.
[12]ibid., p. 29-30.
[13]ibid., p. 32-48.
[14] Cf. M.G. MARA, "Una particolare utilizzazione del corpus paolino nell'Epistula ad monachos", in Mémorial Dom Jean Gribomont (1920-1986), Roma 1988, p. 411-418; A. QUACQUARELLI, Lavoro e ascesi nel monachesimo prebenedettino del IV e V secolo, Bari 1982.
[15] Cf. Inst., 1,7; 6,16; Conl., 1,14; 7, 13; etc.
[16] Cf. Inst., 1,1,4; 7,17,5; Conl., 2,15,1; 13,15,1; etc.
[17] Cf. Conl., 2,15,2.
[18] Cf. Conl., 6,6,2; 6,11,5; 11,13,3.
[19] Cf. Inst., 11,12,1.
[20] Cf. Inst., 8,9,1.
[21] Cf. Inst., 10,7,6 e 10,13,1 - Cassiano sottolinea la differenza fra 1 e 2 Ts; Conl., 17,25,7 fra 1 e 2 Cor; Inst., 10,17,1 distingue Ef e Fil.
[22] Cf. Inst., 10, 7-21; Conl., 4,7-17.
[23] Cf. Conl., 7,25,2; 7,28,1; 10,5,2; etc.
[24] Cf. Conl., 1,14,6-7; 9,18-23; 10,6,4; etc.
[25] Cf. Conl., 1,10,1-2; 1,14,8-10; 3,15,2; etc.
[26] Cf. Conl., 3,7,4; 3,10,4; 6,2,1-2; 10,6,1-2; etc.
[27] Cf. per esempio M. OLPHE-GALLIARD, "Les sources de la conférence XI de Cassien", in RAM (1935) p. 290-294.
[28] Alcune informazioni si trovano: M. CAPPUYNS, op. cit., c. 1334; M. OLPHE-GALLIARD, op. cit., c. 223.
[29] Cf. O. CHADWICK, op. cit., p. 9-10.
[30] Cf. Inst., 7,7,6; Conl., 1,3,5; 9,12,1-2; 14,16,4.
[31] Conl., 23,8,2.
[32] Inst., 12,2,1.
[33] Conl., 8,21,3; Inst., 1,2,1.
[34] Inst., 8,21,1.
[35] Cf. Inst., 7,16,1; 8,3,1; 8,21,1.
[36] Secondo redattori della Vetus Latina Cassiano forse usava una versione simile alla Volgata che era usata nell'ambiente gallicano con l'aiuto di una ersione greca occidentale che era appena in uso in quest' epoca; cf. Epistulae ad Philippenses et ad Colossenses in Vetus Latina. Die Reste der altlateinischen Bibel, nach Petrus Sabatier neu Gesammelt und Herausgegeben von Erzabtei Beuron, 1966-1971, p. 40 e 42.
[37] Cf. Inst., 1,2,1; 8,21,1; 12,31,1; Conl., 8,21,1; 8,21,3.
[38] Cf. Inst., 1,2,1.
[39] A. DE VOGÜE, "Le sources des quatre livres des Institutions de Jean Cassien. Introduction aux recherches sur les anciennes règles monastiques latines", in StMon, 27 (1985), p. 253.
[40] BASILIO, Regula a Rufino latine versa, 11, CSEL 86, p. 53.
[41] Cf. Inst., 7,11,1; 7,29,1.
[42] Cf. Conl., 14,16,1.
[43] Cf. Inst., 3,3,3.
[44] Cf. Conl., 14,11,1.
[45] Cf. Inst., 1,4,1.
[46] Cf. Conl., 5,11,1.
[47] Cf. Conl., 17,18,1.
[48] Cf. Conl., 8,7,4.
[49] Cf. Conl., 1,14,1.
[50] Cf. Inst., 7,7,5; Conl., 5,11,1; 12,1,1; 12,2,1.
[51] Cf. Inst., 1,4,1.
[52] Cf. Inst., 1,11,2.
[53] Cf. Inst., 7,7,5.
[54] Cf. Inst., 12,27,1.
[55] Cf. Inst., 7,6,1; 7,7,5; 12,27,1; Conl., 5,6,1.
[56] Cf. Inst., 7,7,1.
[57]Cf. Inst., 7,6,1.
[58] Cf. O. CHADWICK, op. cit., p. 13.
[59] A questa opinione ci spingono non tanto le osservazioni analitiche ma quelle storiche. Cassiano poteva aver avuto fra le mani il manoscritto latino fatto nel deserto egiziano da un monaco arrivato dall'Italia (cf. Inst., 5,39,1-2), poichè nessun altro conosceva là il latino e il testo diventava inutile. Anche il suo soggiorno a Roma prima della partenza per Marsiglia offriva l'occasione per possedere proprio questa versione.
[60] Cf. J.Cl. GUY, "Jean Cassien, historien du monachisme égyptien?", in StPatr VIII, Berlin 1966, p. 363-372.
[61] Inst.Praef., 8. Nel lavoro cito il testo italiano (GIOVANNI CASSIANO, Conferenze spirituali, I-III, versione, introduzione e note a cura di O. Lari, Edizioni Paoline 1966) quando le spiegazioni non toccano la dimensione filologica. Il testo latino viene citato qaundo meglio spiega il tema analizzato o quando la traduzione italiana non è adeguata.
[62] Cf. Inst., 1,1,5; 10,17,1; Conl., 21,5,4; 23,17,7; etc.
[63] Cf. Inst., 5,7,1; 5,8,1; 7,3,3; etc.
[64] Cf. Conl., 18,11,3; 21,34,4; 22,14,1; etc.
[65] Cf. 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1; etc.
[66] Cf. Conl., 11,7,3; 17,20,4; etc.
[67] Cf. Conl., 1,11,1; 6,9,3; etc.
[68] Cf. Conl., 21,24,3.
[69] Cf. Conl., 6,11,1.
[70] Cf. Inst., 1,8,1; 3,4,3; Conl., 1,19,1; 3,15,1; etc.
[71] Cf. Inst., 5,22,1; Conl., 8,25,2; etc.
[72] Cf. Conl., 24,26,18.
[73] Cf. Conl., 2,2,1; 8,19,2; etc. E' interessante notare che Cassiano usa sempre il nome Antonio con l'aggettivo "beatus" o "sanctus".
[74] Cf. Conl., 5,40,1; 18,16,7; etc.
[75] Cf. Conl., 11,7,3; 18,5,4; 19,1,1; etc.
[76] Cf. Conl., 10,3,2; 18,16,2; etc.
[77] Cf. Rom 1,7; 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,1; etc.
[78] Cf. Mt 16,17.
[79] Cf. 1 Tm 6,15.
[80] Si può notare che superlativo "beatissimus" Cassiano usa principalmente per i vescovi e papi.
[81] Cf. At 13,1; 1 Cor 12,28-29; Ef 4,11; 1 Tm 1,7; etc.
[82] Cf. Conl., 22,7,3.
[83] Cf. Inst., 10,12,1: "doctoris vel medici".
[84] Cf. Inst., 10,8,3; Conl., 3,15,4; 6,10,10; 17,24,3.
[85] Cf. 1 Tm 2,7.
[86] Cf. Inst., 10,7,9 - l'ispirazione biblica: Rz 2,20; 2 Tm 1,11.
[87] Cf. Inst., 10,11,1.
[88] Cf. Inst., 10,8,1; Conl., 12,12,5.
[89] At 9, 15 (testo della Volgata): "Dixit autem ad eum (Ananias) Dominus, vade quoniam vas electionis est mihi iste ut portet nomen meum coram gentibus et regibus et filiis Israel".
[90] Cf. Inst., 8,5,1; 10,8,2; Conl., 1,19,2; 2,15,3; 9,18,3; 9,18,4; 16,2,2; 17,25,7; 22,15,3.
[91] Cf. Conl., 24,6,3.
[92] Cf. Inst., 9,3,1.
[93] Cf. Inst., 5,17,1.
[94] Cf. Conl., 6,8,10.
[95] Cf. Conl., 2,15,1; 3,5,4.
[96] Cf. Conl., 13,12,4.
[97] Cf. Conl., 3,5,4.
[98] Cf. Conl., 2,15,1.
[99] Cf. Conl., 3,5,4.
[100] Cf. Conl., 13,13,3-5.
[101] Cf. Conl., 2,15,3; 3,15,2; 16,12,1.
[102] Cf. Inst., 10,9,1.
[103] Cf. Inst., 10,17,1.
[104] Cf. Inst., 10,18,1; Conl., 24,11-12.
[105] Cf. Conl., 3,15,2.
[106] Cf. Conl., 17,20,8.
[107] Cf. Inst., 7,17,1.
[108] Cf. Inst., 1,1,5.
[109] Cf. Inst., 1,1,5.
[110] Cf. Inst., 17,20,1 e 5.
[111] Cf. Inst., 7,17,1.
[112] Cf. Inst., 7,16-18; 10,7-16; Conl., 23,5,4; 24,11-12; etc.
[113] Cf. Conl., 23,20,1.
[114] Cf. Conl., 2,15,2.
[115] Cf. Inst., 5,19,2 (le tappe e lo sviluppo della sua vita sono elevate a una "regola"); Conl., 24,6,1 (basandosi su 1 Cor 3,10 Cassiano sviluppa una nalogia: Paolo è un architecto della vita spirituale, ha offerto un modello sulla base della quale adesso un discepolo può costruire il suo proprio "edificio spirituale").
[116] Conl., 23,4,2.
[117] Cf. Conl., 23,2,1: "Noi conosciamo molti beni che san Paolo e gli uomini simili a lui, o ebbero par natura o acquistarono per grazia".
[118] Cf. Conl., 11,13,1.
[119] Cf. Conl., 23,14,1.
[120] Cf. Conl., 23,14,1.
[121] Cf. Conl., 3,5,4; 23,2,3; 23,15,4.
[122] Cf. Conl., 23,2,1: "Certamente tutte queste virtù si trovano nell'Apostolo e negli altri uomini santi e perfetti che insegnarono la religione più con la santità della vita che con l'eloquenza delle parole".
[123] Cf. Conl., 23,5,5-7.
[124] Cf. Conl., 23,3,1.
[125] Cf. Conl., 24,23,1.
[126] Cf. Conl., 5,17-18.
[127] Cf. Conl., 6,3,6; 6,9,2; 24,2,1.
[128] Cf. Conl., 9,34,10.
[129] Cf. Inst., 7,16-18.
[130] Cf. Conl., 23,5,4.
[131] Cf. Inst., 7,17; Conl., 16,22,4; 23,2,3; 23,5,4-7.
[132] Cf. Conl., 17,24,3.
[133] Cf. Conl., 17,20,1.
[134] Cf. Conl., 17,25,1.
[135] Cf. Conl., 13,17,1.
[136] Cf. Inst., 7,16-18; 10,7-16; Conl., 24,11-12.
[137] Cf. Conl., 23,2,3; 23,3,1; 23,5,4-7.
[138] Cf. Conl., 13,6,5; 23,11,2; 23,15,7.
[139] Cf. Conl., 22,14,1; 23,15,6-7.
[140] Cf. Conl., 23,15,4 e 7.
[141] Cf. Conl., 23,13,3.
Già Prospero d'Aquitania, nonostante che polemizzasse con Cassiano, apprezzava la sua conoscenza delle Sacre Scritture dicendo: "quem non debitum est illis omnibus in sanctarum scripturarum studio preaestare"[1]. Anche gli studiosi moderni accentuano questo fatto. E così, per esempio, M.Olphe-Galliard scrive: "La doctrine de Cassien est d'essence biblique"[2]. E. Pichery invece rileva che: "La source - di Cassiano - par excellence est la sainte Ecriture"[3]. Ma fino ai nostri giorni non esiste sul campo dell'esegesi di Cassiano uno studio più ampio e profondo così che A. de Vogüé ha definito questa dimensione degli studi sull’opera di Cassiano "un domaine encore inexploré"[4]. Alcuni autori, i quali si occupano generalmente della storia dell'esegesi cristiana come per esempio H. de Lubac o M. Simonetti, rilevano questo tema, ma soltanto dal punto di vista dei così detti quattro sensi della Scrittura i quali sono stati così presentati ed elencati per la prima volta in un modo così esplicito proprio da Cassiano[5].
L'unico studio, chiamato dallo studioso francese come "première reconnaissance du terrain"[6], è stato scritto negli anni settanta da Ansgar Kristensen e pubblicato soltanto nella sua forma abbreviata[7]. L'autore, basandosi sugli indici della Scrittura che si trovano nell'edizione Sources Chrétiennes delle opere di Cassiano, ha fatto alcune osservazioni generali, e direi, statistiche riguardo al modo in cui Cassiano usava la Scrittura. A. Kristensen ha diviso gli scritti monastici in sei parti notando in ciascuna la frequenza delle citazioni tratte dai libri della Scrittura. E così è riuscito a dimostrare che le parti che parlavano maggiormente della vita cenobitica usavano citazioni tratte dal vangelo di Matteo e in queste parti il metodo interpretativo usato da Cassiano era prevalentemente letterale. Invece nelle parti che si riferiscono di più alla vita eremitica Cassiano usava maggiormente il libro dei Proverbi o i Salmi applicando il metodo più allegorico[8]. Alle lacune di questo studio, già sottolineate da A. de Vogüé nel suo articolo appena citato, questo lavoro vuole aggiungerne anche un'altra: l'assoluta mancanza d’osservazioni sull'importanza che Cassiano pone nelle sue opere riguardo a S. Paolo e alle sue lettere.
A quest’opinione ci spinge non soltanto una semplice osservazione dell'uso assai frequente dell'epistolario dell'Apostolo, ma anche la constatazione che Paolo ha influito sul pensiero di Cassiano anche a livello qualitativo inspirando i più importanti temi della sua teologia della vita monastica e anche una riflessione sul contesto storico e teologico nel quale viveva Cassiano. Si pensi soprattutto al così detto paolinismo del IV e V secolo che influiva anche sui movimenti ascetici e monastici dell'epoca[9]. Il tema fino ad oggi non è stato direttamente approfondito né riguardo a Cassiano né riguardo ad altri autori del monachesimo antico. In questo articolo si cercherà di fare alcune osservazioni sul modo di usare la Bibbia (soprattutto il corpus paulinum da parte di Cassiano); in secondo luogo si analizzerà l'immagine dell'Apostolo Paolo così come si presenta negli scritti di questo monaco. Si spera che in questo modo si farà il primo avvicinamento all’esegesi e al paolinismo di Cassiano
Dall’inizio si deve anche sottolineare che la vita di Giovanni Cassiano si colloca negli ambienti in cui contemporaneamente si studiava e commentava il pensiero dell'Apostolo Paolo[10]. In Egitto Cassiano ha incontrato una forte tradizione origenista con i suoi interessi esegetici non escludendo il corpus paulinum[11], a Costantinopoli Giovanni Crisostomo[12], a Roma il patrimonio di Mario Vittorino, l'Ambrosiaster, Girolamo, Pelagio, Agostino[13], a Marsiglia entra nella discussione pelagiana la quale spesso si riferiva al corpus paulinum[14]. Questo non significa che automaticamente potrebbe esistere una forte e diretta dipendenza letterale fra questi ambienti o correnti teologiche e le opere di Cassiano, ma si può almeno accentuare il fatto che occorrerebbe riflettere sull'influsso che l'epistolario paolino ha avuto sulla teologia della vita monastica di questo Padre.
1. Corpus paolinum nelle opere monastiche di Cassiano
Corpus paulinum e gli atri libri della scrittura
Se si controllano nell'indice pubblicato da Sources Chrétiennes 64 e 109 le citazioni e i riferimenti allusivi al testo biblico nelle opere di Cassiano, si osserva che ve ne sono più di 2000. Sulla base di quest’indice vogliamo aggiungere alcune osservazioni.
I Libri più usati tratti dall'Antico Testamento sono: i Salmi, Isaia, Geremia, Proverbi e Genesi. Vi manca invece totalmente qualsiasi riferimento ai Libri di Rut, 1 Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta e Abdia. D’altronde 2 Cronache, Ester, Sapienza, Lamentazioni, Baruc, Osea, Michea, Sofonia, Aggeo e Zaccaria sono citati soltanto nelle Conferenze e appena (ad eccezione d’Osea) qualche volta.
Dal Nuovo Testamento, oltre alle lettere di San Paolo, Cassiano usa più frequentemente il Vangelo di Matteo, Luca e Giovanni; a Marco si riferisce raramente. Non sono assolutamente presenti i riferimenti alle lettere di Paolo a Tito e a Filemone, alla seconda e terza lettera di Giovanni Apostolo. La lettera di Giuda è citata soltanto una volta nelle Conferenze.
A questo punto, dopo questa visione panoramica, se ci si ferma con attenzione sulle lettere di San Paolo, si trovano dati molto interessanti. I riferimenti paolini, infatti, occupano circa il 25% di tutte le citazioni! Questo significa che in media ogni quattro riferimenti alla Scrittura almeno uno proviene dall'Apostolo e si potrebbero trovare in ogni pagina degli scritti monastici di Cassiano, o al massimo ogni due. Il numero cresce ancora maggiormente quando si aggiunge la lettera agli Ebrei che secondo l'Autore è di Paolo[15] e le citazioni tratte dagli Atti nei quali si trovano le informazioni sulla vita e gli insegnamenti dell'Apostolo delle genti[16].
Lo stesso termine tecnico corpus paulinum non si trova nel vocabolario di Cassiano, mentre invece è adoperata questa parte della Scrittura quando usa termini come "litterae"[17] o più spesso semplicemente: "apostolus dicit"[18], "apostolus monet"[19], "apostolus dixisset"[20], etc. Raramente usa la parola "epistula" riguardo agli scritti di Paolo e fa questo quando distingue in maniera più precisa una concreta lettera[21]. La più usata è la 1 lettera ai Corinzi (circa 112 volte), dopo viene quella ai Romani (circa 109 volte), 2 Corinzi (61 volte), ai Galati (42 volte) e agli Efesini (41 volte), poi 1 Timoteo (37 volte), ai Filippesi (36 volte), agli Ebrei (31 volte), 2 Tessalonicesi (24 volte), 1 Tessalonicesi (23 volte), 2 Timoteo (17 volte) ed alla fine al dodicesimo posto la lettera ai Colossesi (15 volte). Com’è già stato detto, Giovanni Cassiano aggiunge alle lettere di Paolo anche l'epistola agli Ebrei (è citata circa 31 volte) e non si riferisce mai a quella a Tito e a Filemone.
A questo punto facciamo osservazioni su alcune frasi di San Paolo che sono più usate. E così c’imbattiamo soprattutto nel famoso frammento dalla lettera agli Efesini 6,12 che parla della battaglia spirituale (9 volte). Lo seguono: Col 3,5 che parla della necessità della mortificazione della fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi, avarizia, etc., (8 volte); 1 Ts 5,17 che porta con sé il comandamento dell'Apostolo pregate incessantemente (anche 8 volte); e 2 Tm 2,5 che afferma che nelle gare atletiche non si riceve la corona, se la lotta non si è svolta secondo le regole (anche 8 volte). Dopo si può anche elencare 1 Cor 10,13 (7 volte) e 1 Cor 13,8 (7 volte), 1 Cor 15,28 (6 volte), Gal 5,17 (5 volte), 2 Ts 3,8 (5 volte) e 1 Tm 6,10 (5 volte).
Si possono elencare almeno quattro modi di usare i testi dell'Apostolo: un certo tipo di commenti[22], le citazioni che sostengono un insegnamento di Cassiano[23], i brani che si trovano accanto ad altre citazioni dalla Scrittura[24], in particolare le raccolte delle citazioni paoline[25], e le semplici allusioni, non sempre chiare, alle lettere di Paolo[26].
Si potrebbe anche fare uno studio più ampio sul fatto che Paolo, fra gli altri libri scritturistici, occupa in Cassiano il posto centrale e crea una base esegetica, che di seguito dà vita alla sua cristologia, all'ecclesiologia, all'antropologia, all'escatologia, alla demonologia, alla soteriologia con i problemi del peccato e del libero arbitrio dell'uomo, etc. Ma questi sono temi teologici nei quali la presenza e l'influsso dell'insegnamento paolino è ovvio come per ogni teologia e nelle opere di Cassiano si trova anche a causa delle fonti alle quali egli stesso attinse[27]. La problematica sembra interessante, e sicuramente si potrebbero trovare gli sviluppi dei temi e delle sfumature sottili che potrebbero dare una luce interessante alla problematica stessa. Ma sembra che ancora più interessante ed importante è l’influsso dei testi paolini sui temi della teologia della vita monastica.
Il testo del corpus paulinum
Come nei casi precedenti, si nota la mancanza di uno studio diretto e approfondito sulle versioni del testo biblico che Cassiano possedeva[28]. Eventualmente si parte dal fatto che Cassiano conosceva il greco e il latino[29] e così poteva usare anche la versione greca alla quale si riferisce parecchie volte riguardo ambedue i Testamenti[30]. Lui apprezza la traduzione di Girolamo chiamandola: "emendatior translatio"[31] o "exemplaria quae hebraicam exprimunt ueritatem"[32]. Ma talvolta mostra che conosce e anche si riferisce a versioni diverse: "diversa exemplaria"[33] e più antiche: "novella exemplaria multa et antiqua omnia"[34].
Sembra che Giovanni Cassiano conosce bene ed è cosciente anche dell'importanza del problema testuale della Bibbia per la vita ascetica[35]. Ma ci vorrebbe uno studio lungo e speciale per precisare di più a quale versione della Septuaginta e del Nuovo Testamento greco si riferiva, o definire la famiglia della Vetus Latina conosciuta ed usata da Cassiano[36]. Il presente articolo non tenta di risolvere la questione, ma fermandosi sul corpus paulinum fa qualche osservazione che da una parte mostra la complessità del problema e dall'altra almeno indica alcune soluzioni riguardo al problema.
Cassiano usa cinque volte la parola "exemplaria"[37] parlando delle versioni della Scrittura fra le quale soltanto una volta è toccato il corpus paulinum[38]. In questo brano si riferisce a 1 Tm 6, 8 e con una certa disapprovazione parla dei "quibusdam latinis exemplaribus" i quali usano la parola "vestimenta" invece di "operimenta" che è posta da lui. A quale testo si riferisce, e quale prende come corretto, e perché lo fa?
Cassiano aveva in questo momento davanti agli occhi la traduzione latina delle Regole di Basilio fatta da Rufino[39]. Il testo dalla 1 Tm 6,8 proposto là da Rufino dice: "Habentes autem victum et vestitum, his contenti simus"[40]. Il testo di Cassiano dice: "Habentes alimenta et operimenta, his contenti simus".
Non si riferisce però in questo caso alla traduzione di Girolamo la quale non parla né di "vestimenta" né di "operimenta" ma traduce il brano con "quibus tegamur". Cassiano proprio dal testo greco ha tradotto "skepasmata" con "operimenta". La traduzione, anche se non tanto lontana dal greco e dagli altri due testi latini, era propria di Cassiano e - si potrebbe dire - tendenziosa, poiché meglio in questo momento serviva alle sue idee. Dall'altra parte, si può notare che il brano dalla 1 Tm 6, 8, citato ancora due volte[41], corrispondeva proprio al testo preso da Rufino! Cassiano dunque non sempre era tanto esigente e stretto riguardo al testo biblico.
Lo stesso atteggiamento si può osservare riguardo alle altre citazioni. Prenderemo com’esempio la lettera ai Colossesi. Giovanni Cassiano la cita almeno 16 volte usando 10 versetti (Col 1,16; 2,3.14.15.21: 3.3.5.8.9.10). Col 3,5 è citato 8 volte! Le sei citazioni dalla lettera (tranne il versetto 3,5) sono concordi con la versione della traduzione di Girolamo (Col 2,3[42]; 2,14-15[43]; 2,21[44]; 3,3[45]; 3,8[46]; 3,9[47]). Il versetto 1, 16 è diverso sia dal testo di Girolamo sia anche dalla versione greca poiché aggiunge "sive angeli sive archangeli" i quali provengono dalla lettera ai Romani 8, 38 (Cassiano probabilmente semplicemente citava a memoria)[48]. Si nota anche la differenza fra il testo della Volgata nel caso di Col 3,10[49].
Ma la confusione cresce ancora di più quando si considera il brano Col 3, 5 che è citato, come abbiamo già detto, otto volte. Il medesimo versetto è per quattro volte citato in modo simile alla traduzione della Volgata[50]. Due volte si trova con piccoli cambiamenti: una volta manca la parola "ergo"[51], un'altra invece, è stata aggiunta al suo posto la parola scilicet[52], ma sono cambiamenti piccoli, e direi, retorici in un certo senso o senza un’importanza. Ma due volte Cassiano mescola probabilmente Col 3,5 con 1 Tm 6,10. In un certo qual modo prende Col 3,5, ma si riferisce al termine greco "filargyria" traducendolo o con "avaritiam"[53] o semplicemente facendo la traslitterazione da "filagaryia"[54]. Ma la difficoltà sta nel fatto che questo termine non esiste nel testo originale, come noi oggi lo conosciamo, che ha il termine "pleoneksia" il quale nella Volgata è stato tradotto con "cupiditas". Cassiano invece quando usa questo versetto, lo mescola con la prima lettera a Timoteo e lo usa in latino nella forma traslitterata[55] o eventualmente traducendolo con "avaritia"[56] ed "amor pecuniae"[57].
Come conclusione si potrebbe dire che il corpus paulinum nelle opere monastiche di Cassiano è usato in maniera varia L'Autore conosce e si riferisce al testo greco quando questo è necessario per rafforzare le sue convinzioni - soprattutto quando tratta dei problemi ascetici. Riguardo al testo latino si può dire che usa maggiormente la Volgata, ma si osserva anche che adopera in modo non-critico altre traduzioni, incluse fonti patristiche. Non si può escludere anche che Cassiano spesso citasse a memoria non curandosi della forma e della traduzione. Non si può escludere anche il fatto delle interpolazioni degli scrittori medievali, i quali riscrivevano il testo oggi da noi usato[58]. Tutto questo è caratteristico dell'epoca in cui erano ancora diffuse e mescolate varie versioni della Scrittura e ancora tanti potevano facilmente usare sia il testo latino sia il testo greco.
Un lavoro da fare nel futuro sarebbe quello di stabilire almeno la famiglia alla quale apparteneva eventualmente una delle versioni della Vetus Latina posseduta da Cassiano. Però il tema non sembra tanto importante o necessario per un autore ascetico e dall'altra parte esso sarebbe molto laborioso. Secondo la nostra opinione Cassiano poteva possedere una versione dalla famiglia italiana[59].
2. L’immagine di Paolo secondo Cassiano.
Cassiano, siccome non voleva scrivere la storia dei monaci[60], non aveva l'intenzione di includere nelle sue opere una biografia di San Paolo. Lo scopo delle sue opere monastiche presentata direttamente in questo modo:
"Perciò non mi sono proposto di parlare delle meraviglie di Dio, quanto piuttosto di trattare brevemente delle correzione dei nostri costumi e del modo di raggiungere la perfezione della vita"[61].
E se queste parole si riferiscono alla vita dei monaci, si possono anche riferire a Paolo. Malgrado ciò si nota qualche frase nella quale si comprende una certa immagine dell'Apostolo che Cassiano o aveva o almeno voleva presentare. La ricostruzione è interessante perché ci fornisce la prospettiva nella quale l'Autore prendeva anche le lettere dell'Apostolo e fa parte dell’insieme di capire la sua esegesi.
I nomi dell’Apostolo
Cassiano, quando parla di Paolo o quando cita i brani dalle sue lettere o dagli Atti, più frequentemente usa la parola "Paulus"[62] o "apostolus"[63]. Talvolta troviamo anche l'espressione "Paulus apostolus"[64]. E' ovvio che l'uso dei termini proviene dal testo scritturistico[65].
Anche molto spesso si può trovare la formula "beatus apostolus"[66], "sanctus apostolus"[67] o "beatus apostolus Paulus"[68]. Però non vi sono i nomi caratteristici di Paolo. Cassiano mette anche davanti all'aggettivo "beatus" altri nomi che provengono o dalla Scrittura (Abraham[69], David[70], Job[71], etc) o dal mondo monastico (Abraham (abba)[72], Antonio[73], Pafnutius[74], Paulus (monaco)[75], etc). Una situazione somigliante è con la parola "sanctus"[76]. Questi aggettivi provengono anche dal NT dove i cristiani sono chiamati "santi"[77]. Una evoluzione si può osservare riguardo alla parola "beatus". La Bibbia non usa il termine spesso, né riguardo agli Apostoli né riguardo ai primi discepoli[78], neanche san Paolo nelle sue opere (soltanto quando si riferisce a Cristo[79]). Nell'epoca di Cassiano - come vediamo - la parola è abbastanza frequente[80].
Fra i nomi più caratteristici riguardo all'Apostolo troviamo la formula "doctor" o "doctor gentium". Cassiano usa la parola "doctor" (anche d’origine biblica[81]) nel caso di san Paolo per rilevare il carattere docente dell'Apostolo[82], mettendola insieme con una dimensione medica[83]. Si deve però sottolineare che troviamo soltanto la frase "doctor gentium"[84] quattro volte e riferita unicamente a san Paolo. Questo è anche una pura trasposizione dalle lettere dell'Apostolo[85]. Paolo è chiamato da Cassiano anche: "magister"[86], "magister bonus"[87] e "praedicator euangelii"[88].
Dagli Atti 9, 15 proviene il nome "uas electionis"[89]. Però questo brano scritturistico non si trova in nessun posto in modo pieno ed esplicito nelle opere di Cassiano. Ed egli stesso usa soltanto l'espressione "uas electionis", e lo fa volentieri[90].
Troviamo una situazione simile nel caso delle definizioni "Paulus est architectus"[91] e "Paulus architectus sapiens"[92]. Cassiano fa riferimento al testo di 1 Cor 3, 10 nel quale l'Apostolo chiama se stesso (secondo testo della Volgata) "sapiens architectus".
Cassiano anche dice che Paolo è "athleta Christi"[93]. Il termine è usato spesso riguardo ai monaci, ma soltanto una volta riguardo a san Paolo. Interessante è notare che il nome così popolare e diffuso nel vocabolario monastico e ascetico non si trova nel testo latino delle lettere dell’Apostolo neanche indirettamente. Nella Volgata la parola paolina "athlesis" (2 Tm 2,5) è stata tradotta come "certat" ed "athle" come "certaverit" (ibid). Ma qui notiamo che Cassiano, partendo da questi termini greci, ha creato il nome caratteristico di san Paolo chiamandolo "athleta christi".
Alla fine osserviamo ancora un altro nome con il quale Cassiano chiama san Paolo. Si tratta dell'espressione: "ambidexter doctor gentium"[94]. Qui la parola "ambidexter" (come nel caso dell'"athleta") non serve per precisare o definire la persona dell'Apostolo ma piuttosto è usata dal nostro Autore come un esempio fra gli altri (per esempio Giuseppe) che serve per confermare i suoi interessi ascetici.
Concludendo queste osservazioni si può dire che Cassiano riguardo alla persona di san Paolo usa soprattutto termini che nella loro maggioranza provengono dal vocabolario biblico. Talvolta li usa per cortesia a causa di forme retoriche (specialmente "beatus", "sanctus", "uas electionis") e quest’uso è ovviamente più frequente. Con altri titoli come "doctor" o "doctor gentium" e "magister" o "magister gentium", Cassiano vuole sottolineare il ruolo di maestro dell'Apostolo. Questi nomi si trovano soprattutto nei brani delle opere di Cassiano in cui egli analizza o presenta l'insegnamento dell'Apostolo. In questo gruppo si colloca anche il nome "architectus" o "sapiens architectus". Invece le parole "athleta" e "ambidexter" sottolineano la dimensione ascetica dell'insegnamento e della vita di Paolo. Si possono osservare, dunque, i due modi dell'uso di tutti questi nomi: essi o definiscono più precisamente la persona e l'insegnamento dell'Apostolo o, al contrario, il suo nome sta soltanto per confermare l'insegnamento e le teorie di Cassiano. La pluralità e la ricchezza dei nomi mostra l'importanza dell'Apostolo e del suo insegnamento per Cassiano.
Il ritratto esteriore
Un lettore attento trova che Paolo fu chiamato per diventare Apostolo e per perfezionare la propria vita a causa di Cristo stesso[95] o - come Cassiano dice altrove - per la grazia di Dio[96]. Durante questo processo è diventato cieco[97], ed è andato da Anania a Damasco[98]. Però Cassiano non sviluppa una teologia della vocazione o della conversione a partire dall'esempio dell'Apostolo. Al contrario, si può osservare che contrappone proprio la vocazione estorta e non voluta da Paolo[99] alla sua degna e generosa risposta[100].
Seguendo ancora la vita dell'Apostolo, si deve notare che Cassiano qualche volta ritorna sull'avvenimento della visita di Paolo a Gerusalemme per verificare la sua vocazione di fronte agli altri Apostoli[101]. L'evento serve all'Autore per sottolineare la dimensione ecclesiale della vocazione o di qualsiasi ispirazione interiore. Gli altri viaggi dell’Apostolo sono menzionati soltanto marginalmente accanto ad altre spiegazioni. E così il lettore può sapere che Paolo era a Tessalonica dove lavorava con Silvano e Timoteo[102], ed a Corinto con Priscilla e Aquila[103]. Due volte ritorna il tema dell'incontro con gli Efesini a Mileto[104]. Si sa che l'Apostolo delle nazioni predicava il Vangelo ai pagani[105] ed era ad Atene dove parlava con i Greci sui loro poeti[106], scriveva le lettere e si preoccupava della raccolta dei soldi per la chiesa di Gerusalemme[107]. L'ultimo fatto che viene segnalato da parte di Cassiano nelle sue opere monastiche è il viaggio di Paolo alla capitale dei Giudei dove fu messo in prigione[108]. A tutto questo si possono aggiungere dettagli poco importanti di cui talvolta Cassiano si serviva come, per esempio, il fatto che Paolo portava una cintura[109], si tagliava i capelli[110] ed aveva cittadinanza romana[111]. Prendendo la problematica dal punto di vista storico, si deve dire che tutto questo non è tanto, e si deve aggiungere che il tema che ritorna maggiormente, e che è stato sviluppato di più, è il tema del lavoro nella vita di Paolo[112].
Il ritratto interiore
Oltre ad un interesse storicistico di Cassiano viene sviluppato un interesse più profondo sulla persona di san Paolo il quale anche può spiegare l'interesse che le lettere dell'Apostolo avevano o per Cassiano o in genere per il monachesimo di quest'epoca.
Si osserva dunque in Cassiano - non escludendo anche una enfasi retorica - una certa glorificazione degli Apostoli e di Paolo in particolare. Grazie alla sua vita egli si mostra come un esempio per gli altri[113]. Importante diventa non soltanto il suo insegnamento letterario ma soprattutto l'esempio offerto a tutti[114] che vale la pena di imitare[115].
E così a causa della loro elezione, gli Apostoli superavano tutto il genere umano: "Apostoli (...) superavano di gran lunga la bontà degli uomini, per il dono della loro elezione"[116]. Erano specialmente dotati dalla natura e dalla grazia[117]. Parlando in particolare di Paolo, Cassiano dice anche, che fu arricchito in modo eccezionale dal Signore stesso[118] e a causa di questo, tutta la sua persona n’era irraggiata[119]. In tutto il sistema teologico di Cassiano, Paolo appariva com’esempio dell'uomo che non può cadere in peccato grave[120].
Però l'Autore delle Conferenze sottolinea soprattutto la dimensione della perfezione o la straordinaria virtuosità di Paolo[121]. Egli possedeva, dunque, perfettamente tutte le virtù e così poteva insegnare agli altri non soltanto con le sue parole ma con il suo atteggiamento[122]. Paolo con la sua premura e con il suo fervore superava tutti i santi[123]. La stessa cosa si può dire delle sue sofferenze[124]. Si può dunque affermare che, da un certo punto di vista, Paolo appare come un esempio eccezionale nel pensiero di Cassiano, ma soprattutto a livello ascetico. Questa dimensione tocca vari aspetti della vita perfetta.
Paolo dunque, come un vero "athleta Christi", ha lasciato il mondo[125], ha vinto e raggiunto il dominio del suo corpo e così è in grado di combattere contro le potenze più forti[126]. Lui sopportava fatiche, pene, persecuzioni[127] e tentazioni[128]. Era povero, nudo, aveva fame e sete[129]. Cassiano dice una volta che soffriva più di tutti gli altri santi[130]. D'altra parte, l'Apostolo delle nazioni era pieno di sollecitudine verso gli altri ed era esempio d’amore fraterno[131], era umile[132] e si adattava ad ogni situazione[133], era un modello per i superiori[134] ed un mistico eccellente così che la sua esperienza poteva diventare un typos per gli altri[135]. Ma soprattutto, come abbiamo già detto, Paolo era un esempio nel lavoro[136]. Questa dimensione della sua esistenza nella descrizione di Cassiano è tanto sviluppata che il lettore può avere impressione che Paolo non faceva nient' altro che lavorare.
Accanto a quest'immagine ne viene un'altra nella quale Paolo non è così perfetto perché non possedeva una contemplazione piena e incessante di Dio a causa della sua sollecitudine per gli altri[137], e nonostante la sua eccellenza era anche sottomesso ai problemi, alle preoccupazioni e alle difficoltà della vita quotidiana[138]. Anch'egli sperimentava in se stesso - e così ci trasmette la sua testimonianza - la miseria della condizione umana e la sua mortalità, ma nel confronto con l'amore di Cristo e nell'annuncio evangelico nasceva nel suo cuore la speranza[139]. In lui era così presente la tensione fra il peccato e la grazia[140] che l'angoscia del peccato lo toccava, ma non predestinava alla condanna[141].
Concludendo questa breve presentazione dell'immagine di Paolo che appare nella prospettiva delle opere di Cassiano dedicate ai monaci, si può fare qualche osservazione. Paolo è dunque considerato da una parte come un'autorità dottrinale, dall'altra come un esempio o come un modello eccellente della sua vita. Nella prospettiva di Cassiano, questa seconda dimensione sembra essere più importante. Si nota anche che Paolo da una parte è glorificato, come un modello irraggiungibile, dall'altra parte è molto reale e vicino. La sua ampia attività ed esperienza offrivano ad uno scrittore come Cassiano la possibilità di scegliere e sviluppare i vari aspetti della vita di Paolo secondo l'intenzione e la necessità. Cassiano fa un salto, una monachenizzazione o ascetizzazione dell'Apostolo così che sviluppa poco alcuni elementi della sua vita, mentre sviluppa in maniera sproporzionata gli altri.
1992
1]PROSPERO D'AQUITANIA, Pro Augustino responsiones. De gratia Dei et libero voluntatis arbitrio contra collatorem, II, PL 45, 1803.
[2] M. OLPHE-GALLIARD, "Cassien", in DSp, II, c. 223.
[3] M. PICHERY, Introduction aux Conférences, SCh 42, Paris 1955, p. 63.
[4]A. DE VOGÜE, la recensione dell'articolo di A. KRISTENSEN, "Cassian's Use of Scripture" dal ABR, 28 (1977) p. 276-288, in CCist., 2 (1978) p. 313-315).
[5] Cf. H. DE LUBAC, Esegesi Medievale. I quattro sensi della Scrittura, parte prima, volume primo, trad. it. di G. Auletta, Milano 1986, p. 198-209; M. SIMONETTI, Lettera e/o Allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985, p. 358-359.
[6] A. DE VOGÜE, op. cit., p. (315).
[7] A. KRISTENSEN, "Cassian's Use of Scripture", in ABR, 28 (1977) p. 276-288.
[8] Cf. A. KRISTENSEN, op. cit., p. 283-285.
[9] Cf. M.G. MARA, "Commenti all'epistolario paolino", in DPAC, c. 2620-2624; - "Richerche storico-esegetiche sulla presenza del corpus paolino nella storia del cristianesimo dal II al V secolo", in Paolo di Tarso e il suo epistolario. Richerche storico-esegetiche, L'Aquila 1983, p. 6-64.
[10] Cf. M.G. MARA, Paolo di Tarso e il suo epistolario. Ricerche storico-esegetiche, Roma 1983.
[11]ibid., p. 17 e 24-26.
[12]ibid., p. 29-30.
[13]ibid., p. 32-48.
[14] Cf. M.G. MARA, "Una particolare utilizzazione del corpus paolino nell'Epistula ad monachos", in Mémorial Dom Jean Gribomont (1920-1986), Roma 1988, p. 411-418; A. QUACQUARELLI, Lavoro e ascesi nel monachesimo prebenedettino del IV e V secolo, Bari 1982.
[15] Cf. Inst., 1,7; 6,16; Conl., 1,14; 7, 13; etc.
[16] Cf. Inst., 1,1,4; 7,17,5; Conl., 2,15,1; 13,15,1; etc.
[17] Cf. Conl., 2,15,2.
[18] Cf. Conl., 6,6,2; 6,11,5; 11,13,3.
[19] Cf. Inst., 11,12,1.
[20] Cf. Inst., 8,9,1.
[21] Cf. Inst., 10,7,6 e 10,13,1 - Cassiano sottolinea la differenza fra 1 e 2 Ts; Conl., 17,25,7 fra 1 e 2 Cor; Inst., 10,17,1 distingue Ef e Fil.
[22] Cf. Inst., 10, 7-21; Conl., 4,7-17.
[23] Cf. Conl., 7,25,2; 7,28,1; 10,5,2; etc.
[24] Cf. Conl., 1,14,6-7; 9,18-23; 10,6,4; etc.
[25] Cf. Conl., 1,10,1-2; 1,14,8-10; 3,15,2; etc.
[26] Cf. Conl., 3,7,4; 3,10,4; 6,2,1-2; 10,6,1-2; etc.
[27] Cf. per esempio M. OLPHE-GALLIARD, "Les sources de la conférence XI de Cassien", in RAM (1935) p. 290-294.
[28] Alcune informazioni si trovano: M. CAPPUYNS, op. cit., c. 1334; M. OLPHE-GALLIARD, op. cit., c. 223.
[29] Cf. O. CHADWICK, op. cit., p. 9-10.
[30] Cf. Inst., 7,7,6; Conl., 1,3,5; 9,12,1-2; 14,16,4.
[31] Conl., 23,8,2.
[32] Inst., 12,2,1.
[33] Conl., 8,21,3; Inst., 1,2,1.
[34] Inst., 8,21,1.
[35] Cf. Inst., 7,16,1; 8,3,1; 8,21,1.
[36] Secondo redattori della Vetus Latina Cassiano forse usava una versione simile alla Volgata che era usata nell'ambiente gallicano con l'aiuto di una ersione greca occidentale che era appena in uso in quest' epoca; cf. Epistulae ad Philippenses et ad Colossenses in Vetus Latina. Die Reste der altlateinischen Bibel, nach Petrus Sabatier neu Gesammelt und Herausgegeben von Erzabtei Beuron, 1966-1971, p. 40 e 42.
[37] Cf. Inst., 1,2,1; 8,21,1; 12,31,1; Conl., 8,21,1; 8,21,3.
[38] Cf. Inst., 1,2,1.
[39] A. DE VOGÜE, "Le sources des quatre livres des Institutions de Jean Cassien. Introduction aux recherches sur les anciennes règles monastiques latines", in StMon, 27 (1985), p. 253.
[40] BASILIO, Regula a Rufino latine versa, 11, CSEL 86, p. 53.
[41] Cf. Inst., 7,11,1; 7,29,1.
[42] Cf. Conl., 14,16,1.
[43] Cf. Inst., 3,3,3.
[44] Cf. Conl., 14,11,1.
[45] Cf. Inst., 1,4,1.
[46] Cf. Conl., 5,11,1.
[47] Cf. Conl., 17,18,1.
[48] Cf. Conl., 8,7,4.
[49] Cf. Conl., 1,14,1.
[50] Cf. Inst., 7,7,5; Conl., 5,11,1; 12,1,1; 12,2,1.
[51] Cf. Inst., 1,4,1.
[52] Cf. Inst., 1,11,2.
[53] Cf. Inst., 7,7,5.
[54] Cf. Inst., 12,27,1.
[55] Cf. Inst., 7,6,1; 7,7,5; 12,27,1; Conl., 5,6,1.
[56] Cf. Inst., 7,7,1.
[57]Cf. Inst., 7,6,1.
[58] Cf. O. CHADWICK, op. cit., p. 13.
[59] A questa opinione ci spingono non tanto le osservazioni analitiche ma quelle storiche. Cassiano poteva aver avuto fra le mani il manoscritto latino fatto nel deserto egiziano da un monaco arrivato dall'Italia (cf. Inst., 5,39,1-2), poichè nessun altro conosceva là il latino e il testo diventava inutile. Anche il suo soggiorno a Roma prima della partenza per Marsiglia offriva l'occasione per possedere proprio questa versione.
[60] Cf. J.Cl. GUY, "Jean Cassien, historien du monachisme égyptien?", in StPatr VIII, Berlin 1966, p. 363-372.
[61] Inst.Praef., 8. Nel lavoro cito il testo italiano (GIOVANNI CASSIANO, Conferenze spirituali, I-III, versione, introduzione e note a cura di O. Lari, Edizioni Paoline 1966) quando le spiegazioni non toccano la dimensione filologica. Il testo latino viene citato qaundo meglio spiega il tema analizzato o quando la traduzione italiana non è adeguata.
[62] Cf. Inst., 1,1,5; 10,17,1; Conl., 21,5,4; 23,17,7; etc.
[63] Cf. Inst., 5,7,1; 5,8,1; 7,3,3; etc.
[64] Cf. Conl., 18,11,3; 21,34,4; 22,14,1; etc.
[65] Cf. 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1; etc.
[66] Cf. Conl., 11,7,3; 17,20,4; etc.
[67] Cf. Conl., 1,11,1; 6,9,3; etc.
[68] Cf. Conl., 21,24,3.
[69] Cf. Conl., 6,11,1.
[70] Cf. Inst., 1,8,1; 3,4,3; Conl., 1,19,1; 3,15,1; etc.
[71] Cf. Inst., 5,22,1; Conl., 8,25,2; etc.
[72] Cf. Conl., 24,26,18.
[73] Cf. Conl., 2,2,1; 8,19,2; etc. E' interessante notare che Cassiano usa sempre il nome Antonio con l'aggettivo "beatus" o "sanctus".
[74] Cf. Conl., 5,40,1; 18,16,7; etc.
[75] Cf. Conl., 11,7,3; 18,5,4; 19,1,1; etc.
[76] Cf. Conl., 10,3,2; 18,16,2; etc.
[77] Cf. Rom 1,7; 1 Cor 1,2; 2 Cor 1,1; etc.
[78] Cf. Mt 16,17.
[79] Cf. 1 Tm 6,15.
[80] Si può notare che superlativo "beatissimus" Cassiano usa principalmente per i vescovi e papi.
[81] Cf. At 13,1; 1 Cor 12,28-29; Ef 4,11; 1 Tm 1,7; etc.
[82] Cf. Conl., 22,7,3.
[83] Cf. Inst., 10,12,1: "doctoris vel medici".
[84] Cf. Inst., 10,8,3; Conl., 3,15,4; 6,10,10; 17,24,3.
[85] Cf. 1 Tm 2,7.
[86] Cf. Inst., 10,7,9 - l'ispirazione biblica: Rz 2,20; 2 Tm 1,11.
[87] Cf. Inst., 10,11,1.
[88] Cf. Inst., 10,8,1; Conl., 12,12,5.
[89] At 9, 15 (testo della Volgata): "Dixit autem ad eum (Ananias) Dominus, vade quoniam vas electionis est mihi iste ut portet nomen meum coram gentibus et regibus et filiis Israel".
[90] Cf. Inst., 8,5,1; 10,8,2; Conl., 1,19,2; 2,15,3; 9,18,3; 9,18,4; 16,2,2; 17,25,7; 22,15,3.
[91] Cf. Conl., 24,6,3.
[92] Cf. Inst., 9,3,1.
[93] Cf. Inst., 5,17,1.
[94] Cf. Conl., 6,8,10.
[95] Cf. Conl., 2,15,1; 3,5,4.
[96] Cf. Conl., 13,12,4.
[97] Cf. Conl., 3,5,4.
[98] Cf. Conl., 2,15,1.
[99] Cf. Conl., 3,5,4.
[100] Cf. Conl., 13,13,3-5.
[101] Cf. Conl., 2,15,3; 3,15,2; 16,12,1.
[102] Cf. Inst., 10,9,1.
[103] Cf. Inst., 10,17,1.
[104] Cf. Inst., 10,18,1; Conl., 24,11-12.
[105] Cf. Conl., 3,15,2.
[106] Cf. Conl., 17,20,8.
[107] Cf. Inst., 7,17,1.
[108] Cf. Inst., 1,1,5.
[109] Cf. Inst., 1,1,5.
[110] Cf. Inst., 17,20,1 e 5.
[111] Cf. Inst., 7,17,1.
[112] Cf. Inst., 7,16-18; 10,7-16; Conl., 23,5,4; 24,11-12; etc.
[113] Cf. Conl., 23,20,1.
[114] Cf. Conl., 2,15,2.
[115] Cf. Inst., 5,19,2 (le tappe e lo sviluppo della sua vita sono elevate a una "regola"); Conl., 24,6,1 (basandosi su 1 Cor 3,10 Cassiano sviluppa una nalogia: Paolo è un architecto della vita spirituale, ha offerto un modello sulla base della quale adesso un discepolo può costruire il suo proprio "edificio spirituale").
[116] Conl., 23,4,2.
[117] Cf. Conl., 23,2,1: "Noi conosciamo molti beni che san Paolo e gli uomini simili a lui, o ebbero par natura o acquistarono per grazia".
[118] Cf. Conl., 11,13,1.
[119] Cf. Conl., 23,14,1.
[120] Cf. Conl., 23,14,1.
[121] Cf. Conl., 3,5,4; 23,2,3; 23,15,4.
[122] Cf. Conl., 23,2,1: "Certamente tutte queste virtù si trovano nell'Apostolo e negli altri uomini santi e perfetti che insegnarono la religione più con la santità della vita che con l'eloquenza delle parole".
[123] Cf. Conl., 23,5,5-7.
[124] Cf. Conl., 23,3,1.
[125] Cf. Conl., 24,23,1.
[126] Cf. Conl., 5,17-18.
[127] Cf. Conl., 6,3,6; 6,9,2; 24,2,1.
[128] Cf. Conl., 9,34,10.
[129] Cf. Inst., 7,16-18.
[130] Cf. Conl., 23,5,4.
[131] Cf. Inst., 7,17; Conl., 16,22,4; 23,2,3; 23,5,4-7.
[132] Cf. Conl., 17,24,3.
[133] Cf. Conl., 17,20,1.
[134] Cf. Conl., 17,25,1.
[135] Cf. Conl., 13,17,1.
[136] Cf. Inst., 7,16-18; 10,7-16; Conl., 24,11-12.
[137] Cf. Conl., 23,2,3; 23,3,1; 23,5,4-7.
[138] Cf. Conl., 13,6,5; 23,11,2; 23,15,7.
[139] Cf. Conl., 22,14,1; 23,15,6-7.
[140] Cf. Conl., 23,15,4 e 7.
[141] Cf. Conl., 23,13,3.